«Il cristianesimo occidentale? In crisi, ma ci salverà dal fondamentalismo»

Di Mimmo Muolo, su Avvenire di Sabato 2 Dicembre 2023. Siamo gli ultimi cristiani? La domanda risuona inquietante sotto le volte dell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense. Ma non è uno scenario apocalittico quello si delinea nel corso del convegno organizzato per concludere le celebrazioni dei 250 anni dell’Ateneo dei Papi. Tutt’altro. Anzi come riassume nelle sue conclusioni monsignor Giuseppe Lorizio, che alla Lateranense è professore emerito di teologia fondamentale, può costituire l’occasione per «ripensare l’annuncio del Vangelo nella storia e il ruolo della teologia nell’ambito della nuova evangelizzazione». La domanda era stata posta nella sua relazione da un altro teologo, Brunetto Salvarani. Lorizio nelle sue conclusioni aggiunge una postilla al quesito: «Visto che in altri contesti il cristianesimo fiorisce, siamo forse gli ultimi cristiani del mondo occidentale? Se, erroneamente, identificassimo il cristianesimo con l’Occidente, finito il secondo, dovremmo decretare anche la fine del primo. Ma pur non essendo così, la questione non è da poco, poiché il cristianesimo occidentale non va abbandonato. Grazie alla molteplicità delle sue radici culturali (Roma, Atene, Gerusalemme), esso ci salva infatti dal pericolo del fondamentalismo». E qui viene in primo piano la teologia, cioè quell’intelligenza della fede che permette di avere uno sguardo profondo sul presente e sul futuro, senza cedere ai rischi di un certo politically correct cucinato in salsa ecclesiale. Come ha fatto notare il prorettore Riccardo Ferri, la riflessione teologica articolata attorno a due fuochi, il kerygma (primo annuncio) e il kairos («tempo opportuno, con le sue istanze e provocazioni»), attraverso il contributo dei quattro relatori coinvolti (oltre a Salvarani e Lorizio, anche Elizabeth Green e Kurt Appel) ha permesso di mettere a fuoco alcune problematiche di fondo. La necessaria risposta alle paure degli uomini e delle donne del nostro tempo, ad esempio; l’annuncio originario di Gesù risorto di fronte alle sfide che la natura, spesso stravolta con le catastrofi che ne conseguono, e i rapporti umani, spesso distorti con le guerre e i conflitti che ne derivano, impongono al pensiero credente; il rapporto tra il maschile e il femminile nella Chiesa, oltre che nella società. Soprattutto, però, va intercettata la ricerca di senso che sale dal vissuto di ogni giorno. Per la teologa Giuseppina De Simone, «la teologia deve stare per strada», al fine di riconoscere nella vita delle persone l’azione di Dio, spesso silenziosa e misteriosa», ma non per questo meno reale. Da questa «azione della grazia ha aggiunto la studiosa – nessuno è escluso, perché Dio è vicino a tutti». Tocca dunque al teologo, riconoscere quel «brusio degli angeli» e quelle «tracce di trascendenza» che possono spuntare dove meno te lo aspetti. A tal proposito, De Simone, riprendendo la metafora di un libro di Lorizio, ha ricordato che l’opera dei teologi e delle teologhe è come quella di una spigolatrice, che va cercando i semi del Verbo dispersi nell’esistenza, «perché anche da questi semi si può ricavare il pane della vita». Nel corso della tavola rotonda sul tema “Credere nel tempo oltre il tempo”, è stato poi sottolineato anche il rapporto necessario con le realtà ultime. «Tempo ed eternità – ha ricordato il cristologo Leonardo Paris – non sono in rapporto dialettico fra loro nella visione cristiana, ma in relazione. Il tempo infatti viene da Dio e a Dio ritorna. E anche su questa prospettiva va effettuato un nuovo lavoro teologico». Specie alla luce della filosofia moderna e contemporanea, che sembra aver chiuso invece il Cielo sopra la testa dell’uomo, e di quella che è stata definita la «la metamorfosi di Dio» nel sentire comune (sostituzione di un vago spiritualismo all’idea cristiana di un Dio personale, cioè di un Tu con il quale dialogare). Lo studioso di Hegel, Pierluigi Valenza, ha notato che oggi «il Cielo va colto negli occhi dell’altro» e che proprio perché siamo tutti sotto lo stesso cielo, va pensata una «trascendenza dell’alterità», fondamentale per costruire rapporti più umani. Alla giornata di studio hanno portato il loro saluto e contributo il rettore della Lateranense, monsignor Alfonso Amarante e il decano della Facoltà teologica Angelo Lameri. Una facoltà che sui temi della “teologia evangelizzante”, come direbbe papa Francesco, è all’avanguardia. Monsignor Lorizio ha citato a tal proposito alcuni lavori concernenti la transizione digitale e la sua valenza metafisica e teologica (tra gli altri i dottorati di Marco Staffolani sul principio di causalità e di Giovanni Amendola sulla ragione all’altezza dell’umano), rilanciando poi da un lato la proposta di una teologia mediterranea («siamo ancora troppo tributari di quella tedesca»), dall’altro «l’urgenza, di abitare teologicamente il tempo che ci separa dalla prossima seduta sinodale, offrendo da parte di chi si occupa professionalmente dell’intelligenza della fede contributi relativi allo sviluppo della dottrina cristiana, secondo il dettato di John Henry Newman».

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