Segue la sintesi della relazione del prof. Giuseppe Lorizio nell’ambito del convegno sulla teologia e la spiritualità di Dante (Youtube alle ore 15.30 Mercoledi 6 Aprile)
Articolo originale pubblicato su SettimanaNews http://www.settimananews.it/cultura/dante-e-lislam/

CONVEGNO INTRAUNIVERSITARIO IN MEMORIA DEL PROF. GIORGIO PETROCCHI
TEOLOGIA E SPIRITUALITÀ DI DANTE – II SESSIONE
TRACCIA DELLA RELAZIONE DI GIUSEPPE LORIZIO “DANTE E L’ISLAM. LA COMMEDIA E IL LIBRO DELLA SCALA” – PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE – 6 APRILE 2022
«Il genio ruba, il mediocre imita [ovvero copia]» (P. Picasso)
Le celebrazioni dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri hanno occupato le pagine di giornali e riviste nonché gli spazi televisivi e radiofonici, distanziandoci almeno per un po’ dalle paure, dalle preoccupazioni e dalle angosce della pandemia ed ora della guerra. Non è mancata qualche polemica soprattutto dall’estero.
La prima riguardava la notizia che dalla traduzione in fiammingo della Commedia si sarebbe espulso il nome di Maometto, nei versi dell’Inferno, che lo situano fra gli eretici.
La seconda, che un ministro ha liquidato con i versi dello stesso poeta: «Non ragioniam di lor, ma
guarda e passa» (Inferno, III, 51, riferito agli ignavi). Il governante prendeva di mira l’editoriale di
un giornale tedesco, ove si riteneva il sommo poeta italiano non così geniale, come è e sembra, ma un assemblatore di idee altrui, indicando nel Libro della Scala (una serie di testi mistici islamici del XIII secolo attribuiti a diversi autori) la principale fonte del suo capolavoro. Qui cerchiamo di ragionare mentre ci lasciamo pungolare anche dalle critiche.
Premesse
- L’influsso della cultura e del pensiero islamici sull’Occidente della Christianitas medievalis
è fuori discussione, la domanda previa da porre è: si è trattato di un dialogo o di un confronto?
La mia risposta opta prevalentemente per la seconda tesi. Si è trattato soprattutto di un
confronto, per lo più in chiave apologetica. Infatti, allorché Roberto di Ketton traduceva il
Corano su incarico dell’abate di Cluny, Pietro il venerabile (+ 1156), l’obiettivo non era
quello di una conoscenza approfondita della principale fonte della religione islamica, bensì di
avere uno strumento per poter meglio confutare la “turpe eresia dei saraceni”. Per altri versi
le traduzioni dei pensatori arabi avevano prevalentemente lo scopo di poter attingere alla
filosofia aristotelica e di apprendere, dal filtro del loro pensiero, i rischi che la fede e una
metafisica creazionista quale quella cristiana, poteva correre nell’approccio soprattutto alla
metafisica e all’antropologia dello Stagirita
- Il pensiero dell’Alighieri si può configurare come una teologia in divenire. La parabola del
poeta parte dal Convivio (1304-1307), che presenta come fonti l’Etica nicomachea di
Aristotele e la Summa contra Gentes di Tommaso d’Aquino (originariamente un manuale per
sostenere la predicazione dei missionari cristiani verso l’Islam), muovendo in un orizzonte
scolastico-aristotelico, che si riverbera nell’Inferno (la cui stesura è coeva all’opera
incompiuta), dove Aristotele è posto al centro della comunità degli spiriti sommi (canto IV),
ma conduce al Paradiso (1316-21, il Purgatorio data 1308-12), che adotta una prospettiva
mistica rappresentata dalla scelta di Bernardo di Chiaravalle come ultima guida del poeta.
Quanto al “metodo” teologico (per l’interpretazione biblica rimando alla relazione del collega
Antonio Pitta e al luogo del Convivio nel quale emerge il riferimento ai sensi delle Scritture:
Trattato II, 1, che bisognerebbe leggere con attenzione) mi preme invece evocare un passaggio
del Paradiso (canto XXIV, 130-144) dove viene svelato l’abbandono della prospettiva
scolastico-aristotelica, per abbracciare fino in fondo l’ispirazione rivelata:
E io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
non moto, con amore e con disio;
e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verità che quinci piove
per Moisè, per profeti e per salmi,
per l’Evangelio e per voi che scriveste
poi che l’ardente Spirto vi fé almi;
e credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza sì una e sì trina,
che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’.
De la profonda condizion divina
ch’io tocco mo, la mente mi sigilla
più volte l’evangelica dottrina.
Siamo al cospetto di una vera e propria “metafisica del Vangelo”.
Tracce islamiche nella Commedia:
- Interessante la collocazione di Maometto e Alì agli inferi, tra gli eretici (canto XXVIII). Ciò
che fa riflettere e ragionare in questo contesto, rappresentato anche in San Petronio, a
Bologna, da Giovanni da Modena (per il quale affresco si sono dovute attivare imponenti
misure di vigilanza, a causa dei possibili attacchi dei fondamentalisti), è la collocazione del
profeta islamico fra gli eretici (IX bolgia del VII cerchio, vv. 31-42).
vedi come storpiato è Maometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
E tutti li altri che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
fuor vivi, e però son fessi così.
Un diavolo è qua dietro che n’accisma
sì crudelmente, al taglio de la spada
rimettendo ciascun di questa risma,
quand’avem volta la dolente strada;
però che le ferite son richiuse
prima ch’altri dinanzi li rivada.
Ciò sta a significare che la cultura medievale in cui il poeta si innesta considerava l’Islam come un
prodotto (certamente spurio) del Cristianesimo. Del resto, come sappiamo dalla storia, la figura di Maometto si staglia in un contesto “cristiano” (le tribù dell’Arabia del suo secolo), in cui prevale la concezione di Nestorio, secondo cui in Cristo alle due nature, corrispondono due persone. Il profeta dell’Islam era ossessionato dall’idea dell’unicità di Dio, da preservare e custodire contro ogni idolatria. In nome di tale unicità negava a Gesù la natura divina, pur considerandolo un grande profeta e riservando a sua madre, la vergine Maria un ruolo molto importante nel Corano (Sura XIX di Maria). In tal senso Maometto sarebbe più vicino ad Ario che ai Concili di Nicea e di Calcedonia. A tal proposito basterebbe leggere il Corano, Sura V (“Tavola imbandita”, 116-118): «E quando Allah dirà: “O Gesù figlio di Maria, hai forse detto alla gente: ‘Prendete me e mia madre come due divinità all’infuori di Allah?’, risponderà: “Gloria a Te! Come potrei dire ciò di cui non ho il diritto? Se lo avessi detto, Tu certamente lo sapresti, ché Tu conosci quello che c’è in me e io non conosco quello che c’è in Te. In verità sei il Supremo conoscitore dell’inconoscibile. Ho detto loro solo quello che Tu mi avevi ordinato di dire: “Adorate Allah, mio Signore e vostro Signore”. Fui testimone di loro finché rimasi presso di loro; da quando mi hai elevato [a Te], Tu sei rimasto a sorvegliarli. Tu sei testimone di tutte le cose. Se li punisci, in verità sono servi Tuoi; se li perdoni, in verità Tu sei l’Eccelso, il Saggio”».
- Gli “spiriti sommi” (Inferno, canto IV), tra cui Averroé (“che il gran commento feo” v. 144),
Avicenna e persino il Saladino (“solo, in parte” v. 129), proprio colui che «aveva sbaragliato
eserciti crociati in Terrasanta, mozzato la testa a migliaia di Templari, strappato alla
Cristianità Gerusalemme nel 1187?» (così V. Sermonti). Strano che, al contrario, Federico II,
lo stupor mundi, venga situato nell’Inferno (canto X, 119), tra gli eresiarchi ed epicurei, con
una scelta che andrebbe approfondita in base alla visione politica dell’Alighieri. Bisogna
riconoscere che il Medioevo dantesco aveva idealizzato la figura del Saladino, facendolo
passare, come nel Convivio, per esemplare di liberalità. Le scelte che il poeta mette in campo
riguardo all’Islam suggeriscono una distinzione fra la religione e la cultura, sicché la prima,
in quanto eresia del Cristianesimo viene decisamente condannata, mentre alla valenza
squisitamente filosofica, scientifica e culturale della fede musulmana si riserva un giudizio
ben più condiscendente, in quanto non si ignora il debito dell’Europa verso tali acquisizioni.
- A noi qui interessa in particolare il Libro della Scala di Maometto per il suo influsso
sull’escatologia della Commedia. Una curiosa polemica riguardante il destino dell’uomo dopo
la morte è stata sollevata da un editoriale del quotidiano tedesco Frankfurter Rundshau,
firmato da Arno Widman il 25 marzo 2021. Qui si sostiene che l’escatologia dantesca e quindi
la Commedia sarebbe una grande bufala, in quanto la struttura dell’aldilà e la vicenda stessa
sarebbero “copiate” dai testi mistici dell’Islam, e quindi non avrebbero alcuna originalità.
L’editorialista faceva riferimento al fondamentale volume di Miguel Asín Palacios
sull’escatologia islamica nella Divina commedia, pubblicato in prima edizione nel 1919 e che
nel 2020 la Luni editrice ha riproposto in lingua italiana, con in appendice le polemiche che
lo hanno accompagnato. Certo le sorprendenti analogie che lo storico spagnolo rileva fra i
contenuti dell’opera poetica e quelli degli scritti mistici islamici, è sorprendente, ma neppure
tanto, se consideriamo che a livello escatologico, come per esempio anche nella dottrina della
creazione, la fede cristiana e quella islamica coincidono. Uno dei luoghi che ha attratto la mia
attenzione è quello concernente la dottrina del Purgatorio. A tal proposito Palacios cita un
testo islamico, che fa riflettere: «Ci sono due inferni o gehenna di fuoco: uno è chiamato
interno e l’altro esterno. Da quello non può uscire nulla. Questo invece è il luogo in cui Dio
castiga i fedeli che hanno peccato, per tutto il tempo che gli piace. Poi Dio accontenta gli
angeli, i profeti e i santi che intercedono per loro, e li trae dal fuoco, carbonizzati […] sulle
loro fronti viene impresso: liberti di Dio». È il tema della seconda possibilità (second chance),
che persino dopo la morte viene offerta ai credenti.
Di notevole interesse la posizione di non pochi teologi musulmani, i quali, nonostante il Corano prometta la dannazione eterna ai peccatori, a partire da Abu’l Hudhayl ‘Allaf (VIII-IX secolo, sostennero che solo il paradiso è eterno, mentre l’inferno verrà prima o poi cancellato da Allah.
Rilevare analogie, provenienti da contenuti di fede affini, non significa supporre una dipendenza
diretta da una fonte, sulla cui conoscenza da parte di Dante bisogna essere cauti, come suggerisce un autorevole dantista quale Vittorio Sermonti. In ogni caso il genio del poeta può lasciarsi ispirare da qualsiasi fonte, ma consiste nella relazione strutturale e direi ontologica tra forma e contenuto: ineguagliabile nel nostro poeta.
A proposito del testo mistico islamico, tradotto su mandato di Alfonso di Castiglia intorno alla metà del XIII secolo e al suo influsso su Dante, registriamo due possibili interpretazioni, non prima di aver rilevato che il nucleo di tale scritto è da rinvenire nel Corano, in particolare alla Sura XVII, che racconta il viaggio notturno di Maometto nell’oltretomba. Ecco perché il profeta dell’Islam, a differenza degli altri presenti, non si meraviglia quando apprende che Dante è nell’aldilà col suo corpo, essendoci stato anche lui a suo tempo. La prima interpretazione del debito della Commedia verso la Scala considera che il testo apparteneva all’humus culturale del tempo di Dante, il quale doveva conoscerlo almeno sommariamente in quanto intellettuale inserito nel suo tempo. La seconda che ne avesse conoscenza diretta date le somiglianze rilevate nella struttura sia dell’Inferno che del Paradiso. Tra l’altro ben trent’anni dopo il saggio di Palacios l’italiano Enrico Cerulli e lo spagnolo Munoz Sendino hanno riesumato i codici (latino e francese) della Scala. Il codice latino rinvenuto a Parigi e pubblicato dallo studioso italiano potrebbe suggerire una lettura da parte di Dante qualora si accogliesse l’ipotesi di un suo viaggio nella capitale francese (appoggiata dal Petrocchi che data la circostanza nel 1309-10). Non solo, ma nel 1313 un converso domenicano bolognese di nome Ugolino, fra i quattordici libri che donava allo Studio domenicano della città, annoverava un manoscritto del Libro della Scala, antecedente a quelli rinvenuti da Cerulli e Sandrino. Non si può escludere che Dante possa averlo consultato frequentando la biblioteca dello Studio. In entrambi i casi, qualora il Nostro avesse direttamente letto una di queste versioni dell’opera islamica, perché essa avesse potuto influire sulla Commedia (in particolare su l’Inferno) doveva comunque averla conosciuta in precedenza, data la cronologia.
Alcune fondamentali coincidenze fra Scala e Commedia sembrano inequivocabili: entrambi
Maometto e Dante sono non solo i protagonisti, ma anche coloro che raccontano il viaggio
ultraterreno. Entrambi hanno una guida o più guide Gabriele/Virgilio, moltitudine di Angeli/Beatrice e san Bernardo. Una differenza fondamentale consiste invece nel fatto che Maometto va prima in paradiso e poi all’inferno, Dante viceversa, passando per il purgatorio, di cui abbiamo già detto. La configurazione dell’inferno, mediante la figura dell’imbuto è comunque comune ai due testi, per non dire della serie delle punizioni. Luci e colori, suoni e musica sono invece gli elementi utilizzati da entrambe le opere per descrivere il paradiso, nonché la organizzazione gerarchica degli angeli. Ma, a parte la scrittura in prosa della Scala e quella in versi della Commedia, il punto focale è e resta il monoteismo, assoluto, quello islamico, trinitario e ispirato al Liber figurarum di Gioacchino da Fiore per quanto concerne la descrizione di Dante. Non sorprende quindi che il poeta situi l’abate florense in paradiso, nonostante la condanna del Concilio Lateranense IV (1215), canto XII, vv. 139-141, tra la schiera dei beati sapienti, corrispondenti agli odierni dottori della Chiesa, accanto ai santi Bonaventura da Bagnoregio, Rabano Mauro e Tommaso d’Aquino, affermando di essere illuminato lateralmente dal suo spirito profetico:
[…] e lucemi di lato
Il calavrese abate Giovacchino,
di spirito profetico dotato
In conclusione: la distanza fondamentale fra la teologia di Dante e quella islamica non consiste tanto nella visione escatologica (in particolare di quella che denominiamo “escatologia intermedia”), bensì nella teo-logia, ossia nella fede trinitaria. In questa prospettiva sarà forse da adottare nel rapporto con l’Islam anche oggi piuttosto il paradigma del confronto che quello del dialogo, in quanto il primo si è rivelato storicamente molto più fecondo e vivace dal punto di vista teologico e culturale. Allora un dialogo che non conduca al confronto sarebbe sterile e ispirato da un relativismo inaccettabile, mentre l’istanza veritativa soggiacente alla dialettica aiuterebbe alla comprensione della realtà e delle differenze, che secondo l’insegnamento di Jean-Luc Nancy, dobbiamo imparare ad abitare.
Bibliografia:
A. Longoni (ed.), Il Libro della scala di Maometto, Rizzoli, Milano 2013.
C. Saccone (ed.), Il Libro della Scala di Maometto, SE, Milano 1991.
M. Asín Palacios, Dante e l’Islam. L’escatologia islamica nella Divina Commedia. Storia e critica di
una polemica, Luni, Milano 2020.
M. Campanini, Dante e l’Islam. L’empireo delle luci, Studium, Roma 2019 (edizione digitale).
C. Capone (ed.), Dante e la cultura islamica, Jouvence, Milano 2015.
F. Delle Donne, La porta del sapere. Cultura alla corte di Federico II di Svevia, Carocci, Roma 2019.
V. Pucciarelli, Dante e l’Islam. La controversia sulle fonti escatologiche musulmane della Divina
Commedia, Irfan, San Demetrio Corone (CS) 2012.
M. Tolay, Dante celato. Alchimia e bagliori d’Islam nel suo Viaggio iniziatico, Stamperia del
Valentino, Napoli 2021.